Breve storia della caccia medievale

Nell’Europa Occidentale medievale la caccia fu un elemento importante della vita quotidiana, seppure non la si può considerare pratica principale per il sostentamento della popolazione, ormai ampiamente colmata dall’agricoltura e dall’allevamento. Era praticata da tutte le classi sociali e soprattutto dal Basso Medioevo in poi era reputata un passatempo per l’aristocrazia dove avvenivano interazioni sociali e si misuravano i propri privilegi e ci si manteneva in un costante allenamento bellico.

STORIA

La caccia medievale è in realtà un fenomeno molto complesso che mescola a sé più concetti:

La pratica dell’arte venatoria mossa da bisogni alimentari, seppur non in modo preponderante e il costante bisogno di relazioni sociali all’interno del sistema di vassallaggio. L’esercizio della caccia veniva approcciato in maniera sia ludica che professionale, con movimenti finalizzati al mantenimento e al perfezionamento delle arti marziali in una realtà socio-culturale nella quale l’uso della violenza aveva un ruolo simbolico e determinante della definizione delle relazioni personali.

Ma partiamo dal principio, ai tempi dell’Impero Romano la caccia era una pratica dettata da meri motivi alimentari affidata ai servi che avevano il compito di procurare la selvaggina per la tavola dei loro padroni. Nei popoli germani, dove la popolazione era ancora essenzialmente nomade, la caccia aveva un ruolo enorme poiché l’esercizio non solo forniva tutta la sussistenza di un’intera comunità ma serviva anche a stabilire la gerarchia di potere all’interno del clan.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e il conseguente instaurarsi dei regni Romano-Barbarici questi elementi si fusero, la società barbarica beneficiò della più solida tradizione intellettuale romana, seppur determinati aspetti come l’approccio alla caccia attraverso l’arte marziale teutonica sopravvissero a questi mescolamenti.

Ecco perché durante l’epoca medievale la caccia era per la popolazione uno dei mezzi d’approvvigionamento del cibo, mentre per i nobili un vero e proprio rito. La selvaggina di piccola taglia, come lepri e conigli, veniva abbattuta usando arco e balestra, ma in genere venivano praticati due tipi di caccia:

  • La “venatio clamorosa” pratica rumorosa per via dell’utilizzo di cani e corni, era riservata alla cacciagione di grossa taglia, dove si potevano dimostrare resistenza fisica, tattica e coraggio nello scontro corpo a corpo. Altri metodi di caccia utilizzavano trappole, reti e lacci. Fra le prede più ambite c’erano orsi o lupi, animali che avevano un valore simbolico, come i cervi da cacciare a distanza con l’arco o cinghiali da battere con la spada;
  • La “venatio placita” pratica silenziosa con falconi e reti, invece, incentrata sulla caccia di falconeria, tradizione nata tra i popoli nomadi delle steppe asiatiche importata poi in Europa dal Medio Oriente.

Dal VI sec. gli aristocratici si riservarono tecniche, territori e prede peculiari dato che il mantenimento di uno o più falconi nel contesto di una società medievale richiedeva uno spazio dedicato allo scopo e una disponibilità continua di carne per sfamare l’animale. Da ciò ne derivò che la caccia diventava sempre più un passatempo esclusivo e ricercato solo da alcuni membri dell’élite. Dove prevalevano regimi di tipo feudale erano esclusivamente il signore ed i suoi familiari a detenere i diritti di caccia sul territorio. Tali diritti potevano essere delegati a personale ausiliario alle loro dipendenze. Dove invece si instaurarono città o borghi che sorgevano nelle campagne coltivate, i diritti di caccia, seppur regolati con molta cura, rimasero accessibili ad un più ampio numero di individui, corrispondente più o meno a coloro che risultavano caricati degli obblighi militari. La pratica della caccia era comunque subordinata alla possibilità di accesso ad un ambiente naturale con presenza di selvaggina.

Agli uomini di chiesa era consentita solo la caccia silenziosa, così come al popolo quella con reti e trappole. Vennero create riserve venatorie subordinate al consenso del Re, ogni nobile o monastero possedeva la sua terra dove era permesso cacciare anche ai coloni, previa autorizzazione e pagamento in denaro o parte degli animali catturati. Vorrei segnalare le indicazioni riportate nel “De arte venandi cum avibus”, dove Federico II di Svevia divide gli uccelli da preda, tra quelli che si impadroniscono della selvaggina con gli artigli, “accipitres”, a quelli che la uccidono direttamente con il becco, “falcones”.

ANIMALI

Il cavallo era uno degli animali più importanti nella caccia medievale, oltre ai cavalli da lavoro infatti esistevano cavalli da trasporto ma soprattutto i destrieri (o cavalli a guerra). Si trattava di animali forti e dispendiosi proprio perché davano le prestazioni migliori in momenti di sforzo fisico come la caccia e in guerra. I destrieri proprio per il loro valore economico, vennero progressivamente sostituiti nelle pratiche venatorie con i corsieri, che per quanto venivano ritenuti qualitativamente inferiori al destriero e più piccoli dei cavalli moderni, erano abbastanza potenti per poter portare in sella il cavaliere ad alte velocità senza temere il confronto con animali e fiere.

I cani erano essenziali per via delle loro capacità di fiutare facilmente le prede inoltre aiutavano i cacciatori ad accerchiarle. Tra i cani più utilizzati vi era sicuramente la razza Greyhound, apprezzato innanzitutto per la velocità ma anche per le sue abilità in attacco. Si trattava però di un animale poco resistente e veniva impiegato verso la fine della battuta di caccia.

L’Alaunt era un tipo di cane più robusto e aggressivo e proprio per questo veniva usato nella caccia di animali di taglia grossa come orsi e cinghiali. In certi casi venivano impiegati anche i Mastiff anche se considerati più cani da guardia e molto più addomesticabili degli stessi Alaunt.

I rapaci e il loro utilizzo nell’ambito della cacciagione pare venne appreso dai Goti che a loro volta l’impararono dai nomadi della steppa euroasiatica. A partire dal IX secolo la falconeria radicò capillarmente nelle diverse aree europee e tale attività venatoria viene ben testimoniata da fonti letterarie che raccontavano di sovrani dell’epoca come Enrico I di Sassonia (876-936) noto come “Enrico Uccellatore” proprio per via della sua passione della caccia con falcone oppure del Conte Byrhtnoth che nella Battaglia di Maldon (991) liberò il suo falcone contro i vichinghi di Olaf I di Norvegia prima di perire.

Tra gli animali preda invece più ambiti esisteva il cervo. Il suo significato simbolico era fortissimo per via del palco che più possedeva punte più connotava positivamente l’animale.

Poi si cacciava il cinghiale in una modalità ben precisa: prima si stanava la bestia e poi con i cani la si fiaccava, il signore locale poi era solito scendere da cavallo per trafiggerlo con la spada. Per un maggiore divertimento la caccia del cinghiale, degli orsi e dei lupi si concentrava nella stagione dell’amore degli animali così da trovare avversari più aggressivi. Seppur praticata per divertimento, la caccia in generale era molto rischiosa per svariati motivi come cadere da cavallo o per via dell’utilizzo di armi troppo rudimentali contro fiere feroci.

FONTI:

A cura della Dott.ssa Sara Dazzani