L’Amor cortese

L’Amor cortese è un concetto letterario che diviene il tema centrale delle opere liriche dei trovatori (poeti-musicisti) nelle corti aristocratiche della Francia meridionale tra l’XI e il XII secolo d.C.; i loro componimenti si affermano in lingua d’oc e trattano il sentimento amoroso come un’emozione raffinata che nobilita colui che la prova.

Nelle loro poesie si coglie un legame profondo con il contesto storico-sociale in cui nascono: il sistema feudale si espande in tutta Europa tra l’XI e il XII secolo e le corti signorili ed aristocratiche, sviluppano una cultura detta “cortese” in cui vengono adottati ideali improntati su un’etica prettamente terrena, in contrasto con l’ideologia cristiana predominante.

È in questo periodo che si evolve lo stato sociale della cavalleria, divenendo un gruppo elitario e aristocratico con un proprio codice etico. Molti poeti sono giovani cavalieri senza feudo: la donna diventa il simbolo della dignità aristocratico-feudale cui essi aspirano.

Il titolo di cavaliere diventa sinonimo di gentiluomo, il quale vuole distinguersi dagli altri uomini non solo per il lignaggio della sua famiglia e per il coraggio dimostrato in battaglia, ma anche per la cortesia, ovvero per l’insieme delle virtù che caratterizza l’uomo di corte: nobiltà di sentimenti, eleganza, coraggio, gentilezza, generosità, liberalità intesa come disprezzo per il denaro.

La relazione amorosa protagonista nella produzione lirica, è frutto di questa cultura in cui il rapporto tra amante e amata è strettamente connesso al rapporto feudale tra signore e vassallo.

Andrea Cappellano (1150-1220 ca.) è il primo autore, che ispirandosi all’Ars amatoria di Ovidio, fissa norme e canoni dell’amor cortese con l’opera De Amore: non c’è amore senza nobiltà d’animo, generosità, lealtà e devozione.

Nel suo decalogo, Cappellano riporta una serie di precetti cui il giovane cavaliere deve attenersi per realizzare l’ideale dell’amor cortese:

  1. Avarizia fuggi come pestilenzia nociva[1] e abbraccia lo suo contrario.
  2. Ricorditi[2] fuggire lo mentire[3].
  3. Del tuo amore non volere più segretari[4].
  4. Castità dei servare all’amante[5].
  5. Quella ch’è idoneamente[6] congiunta allo amore d’alcuno[7], tu non la dei sottrarre di quello scientemente[8].
  6. Non curare d’eleggere[9] l’amore di quella colla quale matrimonio contrarre non puoi sanza naturale vergogna[10].
  7. In tutte le cose persevera obbidiente alli comandamenti[11] delle donne.
  8. Sempre studia di giugnerti e di stare con cavalleria d’amore[12].
  9. In tutte cose istudia d’essere cortese e bene costumato[13].
  10. Cura di prendere diletti[14] d’amore quando è luogo e tempo e non ne avere alcuna vergogna.

Note: [1] peste dannosa [2] ricordati [3] le menzogne [4] non confidare il tuo amore a troppe persone [5] devi conservarti casto per l’amante [6] in modo opportuno [7] di un altro [8] tu non devi deliberatamente allontanarla da lui [9] non scegliere [10] senza dovertene vergognare [11] mostrati sempre obbediente al volere [12] preoccupati sempre che il tuo modo di unirti e di stare con il tuo amore sia cavalleresco [13] avere un comportamento civile [14] piaceri.

L’amore trattato non è quello comune che si realizza nel matrimonio che all’epoca veniva imposto per ragioni politiche o dinastiche, è adultero ed è mosso dal desiderio di possedere la donna amata: il suo soddisfacimento si realizza nell’attesa e nel corteggiamento, nella devozione assoluta, mantenendo il carattere sensuale. L’equilibrio dato tra il desiderio erotico e la tensione spirituale che lo caratterizza, è detto mezura, ovvero misura.

Il nome della donna a cui il cavaliere offre la sua devozione non viene mai pronunciato, per non esporre la dama al disonore, in quanto spesso si tratta della sposa del Signore feudale presso il quale egli presta servizio.

L’amore resta comunque il principale strumento di affinamento ed elevazione morale, la cui compiutezza coincide con la virtù della cortesia.

Nella cultura cortese la donna assume un ruolo di primo piano, viene investita delle più nobili virtù, è bellissima e inarrivabile; viene rovesciata l’immagine tradizionale della sua sottomissione all’uomo e va in contrasto con la visione cristiana dell’epoca che si oppone anche per il carattere adultero della relazione amorosa contemplata. La donna è vista come un essere irraggiungibile, ideale quasi mistico che poi si trasferirà, in Dante, nel secolo successivo, nel concetto di donna angelicata.

Questi ideali segnano l’indipendenza dal monopolio culturale della Chiesa e le opere ad essi ispirate, vanno ad influenzare la cultura delle corti feudali di tutta Europa.

Guglielmo IX duca d’Aquitania (1071-1126) è considerato il fondatore della scuola provenzale; fu uno dei più potenti feudatari della regione francese Poitou, un valoroso guerriero e un libertino spregiudicato. La produzione di questo poeta è caratterizzata da liriche antitetiche: ve ne sono di più vicine alla lirica cortese tradizionale, mentre altre cantano l’amore sensuale (Farai un vers, pas mi sonelh) o la burla (Farai un vers de dreit nien).

Eleonora d’Aquitania, sposa prima di Luigi VII Re di Francia e di Enrico II Re d’Angiò d’Inghilterra poi, importa nell’Europa settentrionale gli ideali dell’amor cortese che, rielaborati in lingua d’oil, uniscono il mondo delle corti al mondo delle città.

La lirica italiana viene influenzata dalla lirica trovadorica in lingua d’oc nei primi decenni del Duecento, trovando estimatori dapprima nell’Italia Settentrionale per poi diffondersi in tutta la Penisola.

In Sicilia alla corte di Federico II di Svevia nasce la Scuola siciliana (1230-1250 ca.).

I rimatori siciliani influenzati dai trovatori provenzali, rappresentano l’unico esempio di letteratura cortese in Italia. Anche i poeti toscani e gli stilnovisti, autori nel Duecento di versi in volgare, si rifecero ai modelli provenzali, ma questi vivono in un contesto politico-sociale diverso in quanto legati alla nuova realtà comunale: nei loro versi affrontarono temi sociali e politici assenti nei componimenti dei siciliani, che cantano esclusivamente l’amore cortese.

Gli esponenti della Scuola siciliana mostrano una maggiore attenzione alle conseguenze dell’amore sull’individuo e alle teorie sulla natura dell’amore. Nelle loro rime, pertanto, l’intellettualismo e l’astrazione prevalgono sull’effusione sentimentale.

Tra i poeti più noti, Giacomo da Lentini (1210 ca. – 1260 ca.), a ci si attribuisce l’invenzione del sonetto.

Amor è uno desìo che ven da core – Giacomo da Lentini

Amor è uno desìo che ven da core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore e
lo core li dà nutricamento.
Ben è alcuna fiata om amatore senza
vedere so ’namoramento, ma
quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nascimento:
ché li occhi rapresentan a lo core
10 d’onni cosa che veden bono e rio,
com’è formata naturalmente;
e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e li piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.

Il poeta sostiene la natura principalmente interiore dell’amore, il quale tuttavia necessita anche dell’elemento visivo. I sentimenti del cuore sono suscitati dall’oggetto sensibile, gli occhi sono il tramite tra l’oggetto desiderato e la passione che ne segue. È una tematica già presente nei provenzali e che ritroveremo, profondamente rinnovata, negli stilnovisti e in Dante.

FONTI:

A cura di Alessandra Olivieri