La cavalleria

La nascita della Cavalleria

La figura del cavaliere nasce nel IX secolo: l’Impero Carolingio, sconvolto da guerre civili e da invasioni, si disgregò e la società si riorganizzò intorno ai feudi dove i contadini si offrirono in servitù in cambio di protezione. A loro volta i signori locali si legarono in un rapporto di vassallaggio con i signori più importanti, in una catena di reciproci legami di fedeltà.
Al centro di questo sistema si trovava il rango di cavaliere. Il nuovo ordine sociale, basato su una classe di cavalieri al servizio di un nobile locale (conte, marchese, duca) e, servita a sua volta, dai contadini, si consolidò definitivamente intorno all’XI secolo.
Il termine “cavaliere”, che indica genericamente l’armato che presta servizio militare a cavallo, appare in realtà tardi nel linguaggio delle armi: il Medioevo preferisce infatti il termine latino miles, che indica “il” combattente per eccellenza, contrapposto al termine pedes che indica il semplice fante appiedato.
Il miles medievale è per definizione un cavaliere, che in questo caso non significa semplicemente un armato a cavallo, ma più propriamente un armato che usa il cavallo secondo modalità particolari di combattimento.

L’educazione del cavaliere

L’educazione per diventare cavaliere veniva impartita ai giovani nobili.
Generalmente solo i nobili potevano divenire cavalieri a causa dell’ingente costo dell’equipaggiamento che valeva all’incirca quanto un piccolo possedimento terriero.
battle_of_crecy_froissartVerso l’età di 7 anni il giovane veniva ritenuto maturo per iniziare la sua educazione da cavaliere presso la dimora di un gentiluomo che solitamente era un parente. Durante questo periodo il giovane apprendeva come stare in società e a cavalcare.
Intorno ai quattordici anni poteva diventare scudiero al seguito di un cavaliere apprendendo come maneggiare le armi, ad accudire i cavalli, a tenere in ordine l’equipaggiamento.
Accompagnando il cavaliere in battaglia il giovane imparava ad indossare l’armatura e le nozioni di primo soccorso.
Mentre durante gli spostamenti imparava a tirare con l’arco ed a trinciare la carne per cucinare.
Alla fine del suo viaggio, se svolgeva in modo soddisfacente i suoi compiti, intorno ai ventuno anni riceveva la sospirata investitura a cavaliere.
La sera prima il giovane veniva lavato e rasato. Vestito con una tunica bianca (simbolo di purezza), un manto rosso (emblema del sangue che era disposto a versare in nome di Dio) e una cotta nera (che rappresentava la Morte di cui non doveva aver timore), veniva condotto in una cappella, dove avrebbe trascorso la notte pregando. Terminata la veglia notturna, il giovane cavaliere indossava i suoi abiti migliori per recarsi nella sala centrale, o più importante, della dimora del signore, oppure nella principale chiesa del posto, dove lo attendevano il sacerdote, il feudatario, dignitari e i parenti. Dopo la benedizione del sacerdote, il cavaliere, a cui aveva fatto da scudiero, con il piatto della spada lo colpiva leggermente tre volte sulla spalla, pronunciando la formula di rito: “In nome di Dio, di San Michele, di San Giorgio, ti faccio cavaliere”. Spesso seguiva anche un ceffone, per sottolineare che da quel giorno quella sarebbe stata quella l’ultima offesa che avrebbe potuto subire senza chiedere soddisfazione.
La cerimonia d’investitura proseguiva poi con il neo cavaliere che, giurando sul Vangelo, prometteva di combattere le ingiustizie, di difendere la Chiesa, i deboli e rispettare le donne. La cerimonia di investitura avveniva, in genere, a Natale, oppure Pasqua, a Pentecoste, l’Ascensione e la festa di San Giovanni.
Ed ecco che quindi nasce l’ideologia del cavaliere “consacrato”, che difende innanzitutto la Chiesa e i deboli, combattendo contro l’ingiustizia; e laddove questo non è sufficiente a porre sotto controllo la turbolenza degli armati, viene accentuato il carattere di “miles Christi”, cavaliere al servizio di Dio nella lotta per la fede.

La cavalcatura

Le cavalcature erano un elemento costoso, ma fondamentale, nell’equipaggiamento del cavaliere.
La cavalcatura più costosa era il cavallo da battaglia, uno stallone di grosse dimensioni: grazie alla sua cassa toracica era un animale molto solido e resistente ma anche agile nei movimenti. Le razze più apprezzate erano quelle dei paesi mediterranei: Italia, Francia, Spagna.
Dal XIII secolo in poi diventò normale, per un cavaliere, disporre di almeno due destrieri, più numerosi i cavalli adibiti ad altri scopi.
Anche il cavallo da battaglia generalmente indossava una corazzatura a protezione della testa, del collo e del petto, mentre il resto del corpo era rivestito da una gualdrappa colorata e, spesso, decorata affinchè mostrasse le insegne araldiche del cavaliere, poteva anche essere ed in qualche caso era di cotta di maglia.

Le opportunità

Il servizio militare offriva notevoli vantaggi, le opportunità di arricchimento a seguito delle azioni belliche erano grandi, sia attraverso i bottini rapinati sia attraverso il riscatto dei prigionieri, specie se di alto lignaggio.

Le protezioni

Inizialmente l’armatura dei cavalieri era costituita da una cotta di maglia. Per smorzare i colpi, veniva portata anche una sottocotta imbottita. A partire dal XII secolo, per proteggere anche le braccia e le gambe, si iniziò a impiegare maniche e cosciali metallici.
cavalleriaL’uso delle piastre di ferro si diffuse nel Trecento infatti si cominciarono a portare armature metalliche complete per proteggere ogni parte del corpo sagomate in maniera tale da permettere che le punte e le lame scivolassero sulle loro superfici levigate.
Le armature a piastra potevano raggiungere un peso complessivo intorno ai 25 Kg ma ben distribuito, consentendo ai cavalieri di combattere e montare a cavallo senza particolari problemi. Le piastre venivano, infatti, sagomate in modo tale che, muovendosi l’una sull’altra, seguivano i movimenti del cavaliere. Alcune piastre erano incernierate e potevano ruotare una sull’altra, altre unite da perni che scorrevano in un’asola. Per facilitare lo scorrimento, molte erano connesse tramite stringhe interne di cuoio. L’impiego delle armature a piastra, grazie alla loro efficacia difensiva, permise di ridurre gli scudi, che, a partire dal Quattrocento, divennero più piccoli e leggeri.
Le armature spesso avevano delle fogge e decorazioni al bulino e, frequentemente, erano parzialmente verniciate. Bordi e fregi erano spesso in oro, o dorati. A partire dalla fine del XV secolo si diffuse anche l’abitudine di incidere disegni decorativi con l’acido.
Tra gli elementi ornamentali c’era anche il cimiero del cavaliere, a volte davvero ingombrante ed elaborato, che rendeva agevole la sua identificazione sui campi di battaglia. Tuttavia, a partire dal XIV secolo, si iniziò a impiegare elmi meno ornati, in particolare il bacinetto con visiera, nato in Italia, con una celata ribaltabile sulla fronte, per poi essere sostituito dalla incernieratura laterale, molto più pratica.

Le armi

L’arma più importante era senz’altro la spada, simbolo stesso della sua dignità e della cavalleria. Fino al Duecento, le spade erano a lama larga e a doppio taglio ma, man mano che le maglie di ferro vennero sostituite dalle armature a piastre, si diffuse l’uso di spade più lunghe e sottili, adatte a colpire di punta per infilarsi tra una piastra e l’altra.
Altra arma tipica della cavalleria era la lancia, impiegata per caricare e travolgere i fanti e le altre schiere di cavalieri. Con il tempo si trasformò, aumentando la sua lunghezza e munendosi, a partire dal Trecento, di un’impugnatura con una protezione circolare.
Nei corpo a corpo, per fracassare le armature, acquisì sempre più favore la mazza ferrata. Minore impiego fu quello dell’ascia da guerra a manico corto, usata nel combattimento a cavallo. A partire dal XIV secolo, per i combattimenti a piedi, vennero introdotti anche gli spadoni dall’impugnatura allungata, da afferrare a due mani.

Il codice d’onore

Con il passare degli anni i cavalieri riconoscono delle proprie regole di comportamento, una sorta di codice d’onore dettato più dall’utilità pratica che da convinzioni morali; secondo esso ad esempio il cavaliere non attacca mai un suo collega a tradimento, né porta lo scontro all’ultimo sangue, preferendo in questo caso catturare vivo l’avversario per poi godere del giusto riscatto.
È a tutti gli effetti un codice deontologico di una professione come tante altre, che va ad affiancare l’etica della Chiesa nel costruire quella che definiamo l’“ideologia cavalleresca”.
Ma esso mostra un’altra cosa molto importante: la cavalleria ha assunto coscienza del suo essere gruppo sociale d’elite, ed elabora regole di comportamento e rituali propri, modi di svago caratteristici quali il torneo e la giostra, in auge dal XII secolo e la tendenza a “chiudersi” in una casta ad accesso regolamentato.
Il fenomeno si sviluppa in parallelo infatti con il graduale divieto di accesso alla “professione” volto a chi non ha antenati cavalieri, e poi, subito dopo, a chi non è figlio di cavaliere. Cavalleria inizia a coincidere con nobiltà, intesa come ceto, ma il passaggio non sarà mai netto, se non in epoca tarda, quando ormai la cavalleria avrà perso la sua funzione militare fondamentale.
Infatti per tutto il XIII e il XVI secolo sono frequenti comunque le semplici cerimonie di massa, sul campo di battaglia, in cui il sovrano direttamente nomina cavalieri i più valorosi, indipendentemente dalle loro origini. Il potere del sovrano può quindi ancora scavalcare le regolamentazioni che la cavalleria stessa ha imposto.

FONTI:

a cura di Jacopo Baini