Dante Alighieri

Dante Alighieri fu un poeta, scrittore e politico fiorentino. Considerato il padre della lingua italiana, è l’autore della celebre Divina Commedia.

dante-685x1024Al tempo della sua nascita, Firenze era in procinto di diventare la città più potente dell’Italia centrale: a partire dal 1250 infatti, un governo comunale composto da borghesi e artigiani aveva messo fine alla supremazia della nobiltà e due anni più tardi vennero coniati i primi fiorini d’oro che sarebbero diventati la moneta dell’Europa mercantile. Il conflitto tra i guelfi, fedeli all’autorità temporale dei Papi, e i ghibellini, difensori del primato politico degli Imperatori, divenne sempre più una guerra tra nobili e borghesi simile alle guerre di supremazia tra città vicine o rivali. Nel 1265, alla nascita di Dante, dopo la cacciata dei guelfi la città era ormai da più di cinque anni nelle mani dei ghibellini. Nel 1266, Firenze ritornò nelle mani dei guelfi e i ghibellini vennero espulsi a loro volta. A quel punto, il partito dei guelfi, si divise in due fazioni: bianchi e neri.

Dante nacque il 29 maggio 1265 in una famiglia guelfa di Firenze, di piccola nobiltà. Nel 1274, secondo la Vita Nuova, vide per la prima volta Beatrice (Bice di Folco Portinari) della quale si innamorò subito perdutamente. Dante aveva circa dieci anni quando morì la madre Gabriella. Nel 1283 anche suo padre Alighiero di Bellincione, commerciante, morì e Dante a 17 anni divenne il capofamiglia.

Il giovane Alighieri seguì gli insegnamenti filosofici e teologici della scuola francescana (a Santa Croce) e domenicana (a Santa Maria Novella). Ebbe come suo primo e più importante maestro di arte e di vita Brunetto Latini. Dante crebbe in un ambiente “cortese” ed elegante, imparò da solo l’arte della poesia e strinse amicizia con alcuni dei poeti più importanti della scuola stilnovistica: Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia, condividendo con loro un ideale di cultura aristocratica e di poesia raffinata.

A 20 anni sposò Gemma di Manetto Donati, appartenente a un ramo secondario di una grande famiglia nobile, dalla quale ebbe in seguito quattro figli: Jacopo, Pietro, Giovanni e Antonia.

Nel 1292, due anni dopo la morte di Beatrice, cominciò a scrivere la Vita Nuova. Dante si consacrò così molto presto completamente alla poesia studiando filosofia e teologia, in particolare Aristotele e San Tommaso. Rimarrà affascinato dalla lotta politica caratteristica di quel periodo e costruirà tutta la sua opera attorno alla figura dell’Imperatore, mito di un’impossibile unità. Nel 1293 tuttavia, in seguito a un decreto che escludeva i nobili dalla vita politica fiorentina, il giovane Dante fu costretto ad attenersi alla cura dei suoi interessi intellettuali.

Nel 1295 un’ordinanza decretò che i nobili riottenessero i diritti civici, purché appartenenti ad una corporazione. Dante si iscrisse a quella dei medici e dei farmacisti, la stessa dei bibliotecari, con la menzione di “poeta”. Quando la lotta tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri si fece più aspra, Dante si schierò col partito dei Bianchi che cercavano di difendere l’indipendenza della città opponendosi alle tendenze egemoniche di Bonifacio VIII, Papa dal dicembre 1294 al 1303.

La sua carriera politica raggiunse l’apice nel 1300 quando Dante, guelfo di parte bianca, venne eletto tra i sei “Priori” (custodi del potere esecutivo, i più alti magistrati del governo che componeva la Signoria fiorentina): il poeta fu un politico moderato, tuttavia convinto sostenitore dell’autonomia della città di Firenze, che doveva essere libera dalle ingerenze del potere del Papa. L’anno successivo Papa Bonifacio VIII decise di inviare a Firenze Charles de Valois, fratello del Re di Francia, con l’intenzione nascosta di eliminare i Guelfi Bianchi dalla scena politica. Dante e altri due ambasciatori si recarono dal Papa per convincerlo ad evitare l’intervento francese, ma ormai era troppo tardi: Dante infatti era già partito da Firenze quando Charles de Valois entrava nella città sostenendo il potere dei Guelfi Neri. Iniziarono i processi politici: Dante, accusato di corruzione, venne sospeso dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una pesante ammenda. Poiché Dante non si abbassava, al pari dei suoi amici, a presentarsi davanti ai giudici, venne condannato alla confisca dei beni e “al boia” qualora si fosse fatto trovare sul territorio del Comune di Firenze. Fu così costretto a lasciare la sua città con la coscienza di essere stato beffato da Bonifacio VIII, che l’aveva trattenuto a Roma mentre i Neri prendevano il potere a Firenze; Bonifacio VIII si guadagnerà così un posto di rilievo nei gironi dell’Inferno della Divina Commedia.

A partire dal 1304 iniziò per Dante il lungo esilio. Dalla morte di Beatrice agli anni dell’esilio Dante si dedicò allo studio della filosofia (per lui l’insieme delle scienze profane) e compose liriche d’amore dove lo stile della lode così come il ricordo di Beatrice erano assenti. Redasse il Convivio (1304-1307), il trattato incompiuto composto in lingua volgare che divenne una summa enciclopedica di sapere pratico. Quest’opera, era una sintesi di saggi, destinati a coloro che, a causa della loro formazione o della condizione sociale, non avevano direttamente accesso al sapere. Vagò per città e corti secondo le opportunità che gli si offrivano e non cessò di approfondire la sua cultura attraverso le differenti esperienze che vive.

Per Dante l’esilio rappresentò un momento di sofferenza e di dolore e al tempo stesso uno stimolo per la sua produzione letteraria e poetica: lontano da Firenze poté vedere in modo più nitido la corruzione, l’egoismo, l’odio che governavano la vita politica, civile e morale dei suoi contemporanei. La denuncia e il tentativo di indirizzare di nuovo l’uomo verso la retta via furono per lui l’ispirazione di una nuova poesia che prese forma nella Divina Commedia: nel 1306 intraprese infatti la redazione della sua opera più celebre, alla quale lavorò per tutta la vita.

Nel 1308 compose un trattato in latino sulla lingua e lo stile: il De vulgari eloquentia, nel quale passò in revisione i differenti dialetti della lingua italiana. Fondò la teoria di una lingua volgare che chiamò “illustre”, che non può essere uno dei dialetti locali italiani ma una lingua frutto del lavoro di pulizia portato avanti collettivamente dagli scrittori italiani. È il primo manifesto per la creazione di una lingua letteraria nazionale italiana.

Nel 1310 con l’arrivo in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero, Dante Alighieri sperò nella restaurazione del potere imperiale, che gli avrebbe permesso di rientrare a Firenze, ma Enrico VII morì. Dante compose La Monarchia, in latino, dove dichiarava che la monarchia universale era essenziale alla felicità terrestre degli uomini e che il potere imperiale non doveva essere sottomesso alla Chiesa. Dibatté anche sui rapporti tra Papato e Impero: al Papa il potere spirituale, all’Imperatore quello temporale. Verso il 1315, gli venne offerto di ritornare a Firenze. Il suo orgoglio ritenne le condizioni troppo umilianti: rifiutò con parole che rimasero una testimonianza della sua dignità umana: «Non è questa, padre mio, la via del mio ritorno in patria, ma se prima da voi e poi da altri non se ne trovi un’altra che non deroghi all’onore e alla dignità di Dante, l’accetterò a passi non lenti e se per nessuna siffatta s’entra a Firenze, a Firenze non entrerò mai. Né certo mancherà il pane».

Negli anni dell’esilio, Dante viaggia per l’Italia centrale e settentrionale, chiede ospitalità alle varie corti fra le quali quella di Cangrande I della Scala, a Verona, divenendone amico ed ammiratore: a conferma di ciò Dante scrisse numerose lodi su di lui, in particolare nel canto XVII del Paradiso della Divina Commedia, dal verso 69 al 92. Questi in qualche misura riflettevano la fama di Cangrande ai suoi tempi, quando, come osservò Dante, le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che’ suoi nemici non ne potran tener le lingue mute.

Nel 1319 Dante fu invitato a Ravenna da Guido Novello da Polenta, Signore della città; due anni più tardi lo inviò a Venezia come ambasciatore. Rientrando da Venezia, Dante venne colpito da un attacco di malaria: morì a 56 anni nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, dove oggi si trova ancora la sua tomba.

FONTI:

A cura di Fabio Scolari