Il pane nel Medioevo

Nel Medioevo, il pane rappresentava il simbolo della nutrizione umana, come messo già in evidenza dalla religione cristiana nella preghiera del “Padre nostro” e nel sacramento della comunione.

Il pane bianco di frumento era prerogativa dei ricchi mentre le classi meno abbienti si sfamavano con il pane d’avena o di crusca. La preparazione di questo pane consisteva nel fare una pasta senza sale e lievito che veniva fatto riposare in un luogo caldo per tutta la notte. Il giorno dopo, si preparavano i pani da infornare ed una volta cotti s’immergevano nell’acqua bollente, per poi farli asciugare nel forno. Questo pane aveva lunghi tempi di conservazione, ed era portato dai pellegrini nelle bisacce durante i loro viaggi, e veniva consumato dopo essere stato rammollito con un panno bagnato.

Gli uomini del Medioevo ebbero la capacità, soprattutto nei momenti di difficoltà alimentare, di trasformare in pane non solo grani di differenti tipologie ma anche di ottenere farine da alcuni legumi e frutti come quelle di fave, di ceci o addirittura di castagne, meno dispendiosa perché veniva raccolta nei boschi durante la stagione autunnale.

Nell’ evidenziare l’importanza del pane nella dieta, non si può non menzionare il fatto che, anche nelle tavole dei più ricchi e abbienti, si utilizzassero raramente dei piatti veri e propri. Al posto delle stoviglie infatti, si usava una specie di tagliere fatto di pasta di pane, sul quale si appoggiava il cibo disposto nel grande vassoio al centro della tavola. Il “tagliere” di pane impregnato dei sughi e degli aromi delle pietanze, veniva poi donato ai poveri che chiedevano la carità alle porte del castello.

Proprio in questo periodo nacque la superstizione che mettere il pane rovesciato in tavola fosse causa di sventura, una credenza popolare derivata dal modo in cui i fornai preparavano e consegnavano con disprezzo il cosiddetto “pane del boia”, preparato senza compenso per doveri di legge.

Infine, il pane rappresentava anche l’alimento indispensabile per i soldati, durante le guerre, soprattutto per il fatto che si conservasse a lungo e che fosse una notevole fonte energetica per l’organismo. Un caso degno di nota è quello del pane preparato nel corso delle Crociate: prima della fase della lievitazione, si incideva l’emblema di una croce sulla pagnotta, in modo tale da promuovere una lievitazione più rapida, ma anche perché la croce era (e lo è tutt’oggi) il simbolo del Cristianesimo.

Buratto

In particolare il procedimento di panificazione iniziava con l’“abburattamento”, con cui si divideva la crusca dalla farina con l’uso di uno strumento apposito chiamato “buratto”. Si procedeva poi a mescolare la farina con dell’acqua tiepida fino a che non si otteneva una pallottola di pasta, che veniva fatta lievitare in un recipiente chiuso per tutta la notte. Questa era chiamata “crescente” e rappresenta quello che oggi chiamiamo lievito madre. Inizialmente il pane aveva la forma di una semisfera ed era venduto a misura, poi il prezzo fu dettato dalla qualità della farina usata. Il più’ costoso era fatto di frumento il “pain de bouche” chiaro e morbido, poi il “medianus” preparato diluendo il frumento con cereali minori ed infine il pane di bassa qualità ottenuto con le granaglie di scarto. Un altro tipo di pane che merita considerazione è sicuramente quello ottenuto dall’orzo. Per lo scarso contenuto di glutine, la poca elasticità e quindi la sua difficoltà a lievitare, l’orzo non si prestava facilmente alla panificazione e il suo consumo era abbastanza raro, ed infatti vi si ricorreva esclusivamente nei momenti di cattivo raccolto.

La vera grande rivoluzione nel campo della panificazione si ebbe solo nel Rinascimento quando nel pane fu introdotto il lievito di birra, prodotto dalla lavorazione di lieviti naturali e malto. Fu grazie a questa innovazione che i fornai diedero libero sfogo alla loro fantasia creativa. Nacquero così non solo nuove forme, ma anche tipi diversi di pane: all’olio, al burro, alle olive, alle erbe aromatiche e poi pani dolci, con le uvette, con il cioccolato, con l’anice, etc.

Pane di frumento

Fino alla seconda metà del Settecento, tuttavia, il lavoro dei fornai era rimasto immutato. Si erano affinate le farine, era stato introdotto il lievito di birra per rendere i pani più leggeri e morbidi, ma nulla era cambiato nei forni: confezionamento e lievitazione dell’impasto la sera prima, sveglia in piena notte del fornaio che, all’alba, preparava il forno a legna. Una volta che il forno era giunto alla temperatura necessaria (circa 150 gradi) il fornaio metteva le forme di pane a cuocere, così che di primo mattino poteva già rivenderle.

I primi tentativi di meccanizzazione del lavoro del fornaio risalgono al 1760 circa, ma si rivelarono fallimentari e fu solo a metà Ottocento che con le prime innovazioni tecnologiche nacquero le impastatrici meccaniche, poi sostituite oggi da quelle elettriche, le spezzatrici e le formatrici. Oggi tutte le fasi della panificazione sono meccanizzate e le macchine hanno sistemi elettronici preimpostati per le varie fasi di lavorazione. Le moderne mietitrici-trebbiatrici mietono e trebbiano il frumento i cui semi vengono raccolti in sacchi; nei moderni mulini i grani dei cereali vengono privati del germe con la “spuntatura”, decorticati, triturati e quindi ridotti in farina, pronta per diventare forme di pane.

FONTI:

a cura del Dott. Marco Migliore