La musica nel Medioevo

La musica medioevale è quella composta dall’undicesimo secolo fino al quindicesimo e in questo periodo ritroviamo diversi compositori e studiosi di musica. Tra i più importanti ricordiamo e andiamo ad analizzare Guido d’Arezzo e Marchetto da Padova.

Guido d’Arezzo, monaco benedettino, fu colui che sviluppò un metodo per il migliore apprendimento del canto liturgico e fu autore delle opere “Micrologus de musica” – il più importante trattato musicale del Medioevo a noi pervenuto – e “Prologus in antiphonarium”.
Il suo contributo alla musica si ricorda in particolare nell’essere riuscito a trovare la soluzione ai numerosi tentativi di notazione diastematica, nell’essere inventore del tetragramma e della notazione quadrata. Tuttavia alcune fonti sostengono che sia errato attribuire il merito del tetragramma a Guido d’Arezzo, sostenendo che l’utilizzo di sistemi musicali analoghi fosse già presente nel IX secolo.
Per meglio chiarire i termini sopracitati, vediamo una rapida definizione di ciascuno: la notazione diastematica permette di indicare con precisione l’altezza delle note, affermata con maggiore precisione grazie al tetragramma, ovvero il rigo musicale composto da quattro linee orizzontali utilizzato nella notazione quadrata, a cui ancora oggi si fa ricorso per il canto gregoriano, assieme alla notazione metense (notazioni di canto gregoriano che prende nome da Metz, città della Francia settentrionale) e a quella sangallese (notazioni di canto gregoriano sviluppata nell’Abbazia di San Gallo in Svizzera).
Il tetragramma è predecessore del pentagramma, il rigo musicale composto da cinque linee orizzontali e utilizzato nella notazione moderna.

Fu comunque Guido d’Arezzo a trovare i nomi ai suoni dell’esacordo, ovvero sei note consecutive in una scala musicale, facendo ricorso all’inno Ut queant laxis dedicato a San Giovanni Battista.
Guido d’Arezzo aveva notato, infatti, che i primi sei emistichi ( = ciascuna delle due parti in cui un verso, suscettibile di ripartizione, può essere diviso da una cesura, vale a dire da una demarcazione ritmica statisticamente significativa all’interno di un verso sufficientemente lungo) dell’inno avevano un diverso suono progressivamente ascendente.

UT queant laxis
REsonare fibris
MIra gestorum
FAmuli tuorum
SOLve polluti
LAbii reatum
Sanctae Ioannes

MusicaLa sillaba iniziale, UT, fu successivamente sostituita con DO seppur non si sappia con esattezza a chi si deve questo cambiamento mentre il SI venne coniato unendo le iniziali di Sanctae Ioannes.

Il contributo allo studio della musica dal medioevo in avanti da parte del monaco benedettino non si ferma qui. Guido d’Arezzo individuò tre tipi di esacordo:

  • esacordo naturale: do-re-mi-fa-sol-la
  • esacordo molle: fa-sol-la-sib-do-re
  • esacordo duro: sol-la-si-do-re-mi

e introdusse la solmisazione, ovvero ciò che ora viene definito solfeggio. All’epoca, la solmisazione era basata sulle sillabe dell’esacordo ut-re-mi-fa-sol-la e implicava il passaggio da un esacordo all’altro ma che non toccava mai le note inferiori a ut e superiori a la e consentiva dunque la corretta intonazione degli intervalli. Per facilitare la solmisazione, venne creata la Mano Guidoniana: si utilizzava la mano sinistra dove era posta la notazione alfabetica che prevedeva le lettere maiuscole come ottava grave, le minuscole come ottava media e le doppie minuscole come ottava acuta).

Marchetto da Padova (1274 – 1319) fu compositore e teorico musicale italiano e portò innovazioni nel campo della notazione musicale che permisero l’affermarsi dell’Ars nova italiana. Fu il primo a parlare di cromatismo, vale a dire un procedimento stilistico musicale che utilizza alterazioni semitonali di una scala diatonica.

Fu maestro di un coro di voci bianche e insegnante alla cattedrale di Padova, scrisse i suoi trattati  (Lucidarium in arte musicae planae e Pomerium in arte musicae mensuratae) a Cesena e Verona, fondamentali per lo sviluppo del linguaggio musicale europeo e per noi per la conoscenza della notazione trecentesca. Un documento rinvenuto recentemente, datato 18 Maggio 1318, vede Marchetto da Padova nella lista dei cappellani al seguito del Re di Napoli Roberto d’Angiò e riapre il dibattito sull’esistenza di una scuola di musica napoletana nel Trecento. Il ritrovamento della documentazione avvalorerebbe l’ipotesi che Marchetto, dopo aver rinunciato alla capitolare del Friuli, abbia trovato appoggio a Cesena da Ranieri per poi riuscire a farsi strada fino alla capitale del Regno grazie al Lucidarium dedicato a Ranieri stesso.
Il trattato raccoglie l’insegnamento di Marchetto da Padova riguardo il complesso di norme che precede e apparentemente ignora le problematiche che si ritrovano nella polifonia; riprende le definizioni concernenti la musica e le sue origini, le divisioni e le classificazioni, lo studio della scala musicale, degli intervalli, delle loro proporzioni, il concetto di mutazione e la teoria dei modi. Quello che distingue il trattato di Marchetto rispetto ad altri è il suo essersi concentrato sul canto ecclesiastico per adeguarlo alle esigenze determinate dal crescente uso della polifonia.
Nel secondo trattato, il Pomerium in arte musicae mensuratae, Marchetto affrontò il problema di come rappresentare la durata dei suoni.
Il trattato si divide in tre parti, dove nella prima parte si riscontra un’impronta scolastica si divide in “de accidentibus musicae mensuratae”, ovvero le code (breve sezione musicale che serve a concludere un episodio: canone, aria o movimenti), le pause, i punti, e l’alterazione cromatica; e “de essentialibus musicae mensuratae”, ovvero la forma delle note cui è connesso il criterio per determinare i rapporti di durata.
Marchetto pose alla base del suo sistema una concezione qualitativa dell’unità di tempo che individua la brevis come unità minima di senso musicale compiuto. Dividendo la brevis in tre o in due semibreves maiores, si ottengono il tempus perfectum e il tempus imperfectum. Avere una misura “imperfetta” nel medioevo implicava una certa difficoltà concettuale che Marchetto cercò di superare facendola derivare dalla misura perfetta.
Per entrambi i trattati, Marchetto da Padova richiese consulenza a Sifante da Ferrara.
A Marchetto si deve anche la creazione del termine “permutazione” e l’innovazione più audace ovvero la divisione in cinque parti uguali: i diesis.

Concludo con una brevissima parentesi sull’Ars nova (che fu la rivoluzione dell’Ars Antiqua), in cui rientra Marchetto da Padova per un intreccio di notazione con l’Ars nova francese.
Il periodo in cui si sviluppò rientra nella seconda metà del Quattrocento con particolare concentrazione nelle corti di Verona, Milano e Firenze. Venne visto come un fenomeno culturale elitario e rispetto all’Ars Nova francese, quella italiana era più semplice e comprendeva:

  • mottetto (composizione musicale/vocale con o senza strumenti, di ispirazione sacra; non molto diffusa ma si possiedono tre scritti da Marchetto da Padova)
  • madrigale (componimento strofico, usualmente di due voci)
  • caccia (componimento a tre voci dove si presentano scene di caccia, di gare, di giochi e di mercato)
  • ballata (accompagnava danze collettive)

FONTI:

 

a cura della Dott.ssa Cecilia Buffatti