Medioevo in sella

Sèlla (s.f.): Arnese di varia forma e grandezza, costituito da diverse parti in cuoio su un’ossatura in acciaio o legno (le più moderne possono averla anche in polimero), che si dispone sul dorso di un cavallo, asino, mulo o bardotto, per cavalcare più comodamente.

PREMESSA

In epoca tardoromana si affermò saldamente un modello di sella a quattro arcioni, due anteriori e due posteriori, secondo la ricostruzione più accreditata a cura di Peter Connolly (“A reconstruction of a Roman Saddle”, 1986) [a lato]. Esso sopravvisse per circa quattro secoli, cioè fino alla fine del settimo secolo quando fu introdotto in Europa l’uso delle staffe metalliche (in area bizantina esse erano parte dei fornimenti già dal secolo precedente).

LE SELLE MEDIEVALI

Dalla sella di origine romana molto semplice e, se vogliamo, “sguarnita” si evolsero le selle della cavalleria pesante europea, che nel decimo secolo presentavano solo due arcioni ritorti, uno anteriore e uno posteriore, di altezza media e visibilmente estroflessi in maniera divergente, come si nota nell’Arazzo di Bayeux (seconda metà dell’undicesimo secolo), ed assicurate alla cavalcatura con un sottopancia e una cinghia pettorale [sotto – particolare].


Nel tredicesimo secolo il Salterio Maciejowski, una bibbia manoscritta miniata del 1250, mostra per primo l’evidente evoluzione degli arcioni. Da ritorti, divergenti ed estroflessi, diventano quasi perpendicolari al dorso dei destrieri, dritti e con bracci talvolta convergenti, talvolta rivolti in avanti. Nel Codice di Manesse (1300-1340) si ha testimonianza di entrambe le versioni di questo modello che appare anche munito di sacchi imbottiti a protezione della coscia dei giostratori [a destra, particolare].
Con l’inizio del quattrodicesimo secolo l’arcione anteriore venne rimpicciolito e in alcuni casi poteva presentarsi anche leggermente arcuato; questo uso si prolungò anche oltre il 1400, se ne ha un esempio con la sella parte del corredo funerario di Enrico V, risalente alla prima metà del quindicesimo secolo [sotto, Westminster Abbey Museum].
Quest’ultima si pone nel solco delle selle cosiddette “alte”, cioè quelle in cui le ginocchia del cavaliere risultavano all’altezza del dorso del cavallo.

Due interessanti e particolari testimonianze si possono ritrovare nella sella del monumento equestre di Cangrande I della Scala (Verona, Museo di Castelvecchio), e nella sella di Enrico V per l’Ordine del Drago (1416).

LA SELLA DI CANGRANDE I DELLA SCALA

A differenza delle sue contemporanee, la sella rappresentata nel monumento equestre di Cangrande I della Scala (1335 circa) è dotata di due arcioni diritti collegati da quelle che sembrano ante incernierate decorate da bassorilievi. Questa particolare forma “inscatola” il cavaliere e lo protegge dagli urti di carica evitandone la caduta da cavallo [a lato, particolare].

LA SELLA DI ENRICO V PER L’ORDINE DEL DRAGO

Donata al sovrano inglese da Re Sigismondo d’Ungheria, questa sella è custodita nelle reali armerie della Torre di Londra [sotto]. Essa ricalca in pieno la tradizione delle selle da parata dell’Europa Occidentale. Presenta un arcione anteriore di forma vagamente conica, arricciato, prominente e inclinato verso il collo del cavallo; l’arcione posteriore invece è basso e “bilobato”, molto vicino alla paletta delle moderne selle inglesi. Su tutta la superficie si possono notare iscrizioni in latino o tedesco arcaico, inserti in osso e intagliature decorate che raccontano la vicenda di San Giorgio e il drago.

LA MONTA IN AMAZZONE

Nell’ambito dell’evoluzione medioevale della sella non si può omettere la monta in amazzone, la cui versione prototipica nacque proprio nel dodicesimo secolo. Alla corte di Ludovico I di Gonzaga, signore di Mantova, apparve per la prima volta un riadattamento del basto da soma sul quale era stato assicurato un seggiolino, coperto di velluto e riccamente ingemmato, con lo schienale parallelo al dorso del cavallo e dotato di predellino per permettere alla dama di poggiarvi i piedi [a destra, “sambue”, ricostruzione].

Siamo ancora molto lontani dalla versione attuale, tuttavia è a Caterina de’ Medici [a sinistra] che si deve la prima importante evoluzione di questo tipo di monta (prima metà del sedicesimo secolo).
Nella sua imperitura rivalità con Diana di Poitiers, amante del marito Enrico di Valois, che montava a califourchon, ella fece aggiungere al pomello destro un primo corno a sinistra dell’arcione e sostituì il predellino con una staffa-pantofola (chiusa) [a destra, ricostruzione]. Nel corso dei successivi duecento anni le modifiche furono lievi, ma la coscia destra dell’amazzone si “raddrizzò” progressivamente fino a posizionarsi parallela alla colonna vertebrale del cavallo.

Grazie al capitano François de Garsault (“Le parfait maréchal”, 1755) si ha l’introduzione di un secondo corno a destra dell’arcione, in modo da migliorare l’equilibrio dell’amazzone (sella “en berceau”), e la sostituzione della staffapantofola con una staffa moderna [a destra].

L’ultima importante modifica si ha nel 1830 da parte di Jules Charles Pellier, il quale aggiunse il “corno da salto”, oggi detto mobile, che permise la stabilizzazione definitiva della monta stessa grazie alla possibilità di adattarlo alla gamba sinistra dell’amazzone (“La Selle et le costume de l’amazone”, Jules-Théodore Pellier, 1897).

Oggi a portare avanti questa importante tradizione abbiamo associazioni come l’A.I.M.A. – Associazione Italiana Monta all’Amazzone, che si occupa di diffondere la cultura e formare i binomi che vogliano approcciarsi a questo tipo di monta.

FONTI

  • A reconstruction of a Roman Saddle, Peter Connolly, 1986
  • Le parfait maréchal, François de Garsault, 1755
  • La Selle et le costume de l’amazone, Jules-Théodore Pellier, 1897

 

a cura del Primo caporal maggiore Vittoria Cagalli