La disfida veneziana

Un duello è un combattimento ad armi pari fra due contendenti di solito per la risoluzione definitiva di una controversia o per la difesa dei valori posti in gioco da un più ampio conflitto.

Nel Medioevo e nel Rinascimento erano in voga non solo duelli cavallereschi, ma anche disfide tra matematici che ne ricalcavano i canoni. Il primo studioso inviava a un collega alcuni problemi di diversa natura che avrebbe dovuto risolvere, e quest’ultimo rispondeva proponendone altrettanti al suo sfidante. Il vincitore di un duello, cioè chi risolveva il maggior numero di problemi, aveva come premio oltre a gloria e prestigio, un premio in denaro o un’occasione di lavoro – cattedra all’università o aumenti di stipendio. L’unica regola cui i due partecipanti dovevano attenersi era quella di proporre quesiti che loro stessi erano in grado di risolvere.

Niccolò_Tartaglia
Niccolò Tartaglia

E’ famosa la disfida veneziana tra Niccolò Tartaglia e Antonio Maria Fior del 1535, non tanto per la sfida in sé, ma per le conseguenze che questa vicenda ha portato nel mondo matematico e scientifico.

Il primo protagonista del duello era Niccolò Tartaglia, molto noto per il suo triangolo, usato nel calcolo dei coefficienti binomiali. Nato a Brescia nel  1499 circa, oltre a essere un maestro d’abaco, svolgeva lavori come perito, contabile, ingegnere, insomma, qualsiasi cosa che richiedesse una conoscenza della matematica e della geometria.

Il secondo, Antonio Maria Fior, era uno studioso e maestro d’abaco veneziano che godeva di molta stima nel territorio veneto, ma di cui abbiamo poche notizie biografiche.

Il duello partì il 22 febbraio 1535, quando Fior e Tartaglia depositarono trenta quesiti ciascuno presso un notaio di Venezia, Iacomo Zambelli, fissando la consegna delle soluzioni a quaranta o cinquanta giorni da quella data. La posta in palio era un banchetto in osteria per ogni problema insoluto, a carico del duellante che non fosse riuscito a risolverlo.

Ecco qui un paio di esempi dei quesiti proposti da Fior:

  1. Trovame uno numero che azontoli la sua radice cuba venghi sie, cioè 6.
  2. Doi huomini hanno guadagnato ducati cento, et die partire ditto guadagno in questa forma: che l’uno diebba havere la radice cuba dell’altro. Domando che tocca per uno de ditto guadagno.
  3. Sono dui quadrati che le lor superfici gionte insieme sono 26, e la menore superficie è radice cuba della maggiore. Domando la superficie del maggiore.

Si noti come tutti e tre (così come gli altri trenta), benchè tutti di diverso argomento, siano tutti risolvibili con equazioni di terzo grado, rispettivamente  x3+x = 6 ; x3+x = 100 ; x3+x = 26. (Tutte del tipo x3+bx = c)

Invece i problemi proposti da Tartaglia potevano essere ricondotti a equazioni, sempre di terzo grado, ma di tipo diverso: x3+ax2 = c ; x3+c = ax2 ; x3=bx +c .  [1]

Tartaglia umiliò letteralmente lo sfidante, mostrando la soluzione di tutti e trenta i quesiti nel giro di un paio d’ore. Fior, per contro, non era riuscito a svolgere nemmeno uno di quelli propostigli dal matematico bresciano.

Gerolamo Cardano
Gerolamo Cardano

La notizia iniziò a diffondersi in tutta l’Italia e più persone chiesero a Tartaglia di rivelare la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado che aveva usato per vincere la sfida. Tra questi c’era un uomo dalla personalità a dir poco eccentrica e al quale si sarebbero potute attribuire le più disparate qualifiche: medico, matematico, scienziato naturale, umanista, filosofo, astronomo, astrologo, musicologo, mago, taumaturgo, interprete dei sogni e incallito giocatore d’azzardo. In due parole: Gerolamo Cardano.

Cardano invitò Tartaglia a Milano, chiedendogli di rivelargli la sua formula. Tartaglia rifiutò, comportandosi come tutti in quel periodo: chi trovava una formula risolutiva teneva nascosta la sua scoperta il più possibile, per servirsene nelle successive sfide. Il milanese iniziò a essere molto insistente nella sua richiesta, fino a proporre al suo interlocutore sempre più problemi per provare a dedurre la formula segreta dalla risoluzione. Il bresciano si rese conto che l’ostilità verso Cardano non portava a nulla di buono, poiché questi godeva della protezione di personaggi milanesi influenti e, quindi, accettò di andare a fare visita a Cardano. Cedendo infine alle richieste di quest’ultimo, gli rivelò la formula sotto forma di poesia:

 

Quando che ‘l cubo con le cose appresso                             x3 + bx

Se agguaglia a qualche numero discreto                             = c

Trovami dui altri, differenti in esso.                                        u – v = c

Dapoi terrai, questo per consueto,    

Che ‘l loro produtto, sempre sia eguale                                u * v =

Al terzo cubo delle cose netto,                                                  (b/3)3

El residuo poi suo generale,

Delli lor lati cubi, ben sottratti                                                   radcub(u) – radcub(v)

Varrà la tua cosa principale.                                                     = x

In el secondo, de cotesti atti

Quando che ‘l cubo, restasse lui solo                                     x3 = bx + c

Tu osserverai quest’altri contratti,

Del numer farai due tal part’a volo,                                       u + v = c

Che l’ una, in l’altra, si produca schietto,                              u * v =

El terzo cubo delle cose in stolo                                                (b/3)3

Delle quali poi, per commun precetto,

Terrai li lati cubi, insieme gionti                                                radcub(u) + radcub(v)

El cotal somma, sarà il tuo concetto.                                     = x

El terzo, poi de questi nostri conti                                           x3 + c = bx

Se solve col secondo, se ben guardi

Che per natura son quasi congionti.

Questi trovai, et non con passi tardi

Nel mille cinquecent’ e quattro e trenta;

Con fondamenti ben sald’ e gagliardi

Nella Città dal mar ‘intorno centa.

A questo punto entra in gioco un nuovo matematico di origine milanese, Ludovico Ferrari. Rimasto orfano di padre, venne affidato allo zio paterno e successivamente mandato come servitore a casa di Gerolamo Cardano, il quale si accorse delle grandi doti del nuovo arrivato e decise di prendersi cura della sua istruzione, insegnandogli il greco e il latino, la filosofia e la matematica.

Ferrari era a conoscenza della formula di Tartaglia, per mezzo della quale era riuscito a trovare un procedimento per risolvere le equazioni di quarto grado, riconducendosi a un’equazione di terzo grado, e usando da lì la formula di Tartaglia. A causa di un giuramento fatto da Cardano, non gli era, però, permesso pubblicare i suoi risultati. Nel 1542 accadde una cosa completamente inaspettata: durante un viaggio a Bologna trovarono in un quaderno, appartenuto all’insegnante universitario Scipione Dal Ferro, la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, sviluppata poi in maniera indipendente da Tartaglia.

Questa scoperta permise a Cardano di pubblicare a Norimberga nel 1545 un volume che segna l’inizio della matematica moderna: l’Artis magnae, sive de regulis algebraicis, meglio nota come Ars Magna. Qui l’autore dichiara chiaramente che sia Dal Ferro che Tartaglia avevano trovato la formula per le equazioni di terzo grado separatamente, anche se al primo attribuisce il primato cronologico.

 

NOTE:

[1] Si noti che nel Rinascimento non c’era ancora l’algebra simbolica odierna, quindi questi erano tutti tipi diversi di equazioni, che oggi uniremmo in x3+ax2+bx = c.

FONTI:

  • Fabio Toscano, La formula segreta. Tartaglia, Cardano e il duello matematico che infiammò l’Italia del Rinascimento, Sironi Editore
  • Devoto/Oli, Il dizionario della lingua italiana,  Le Monnier, 2000

a cura della Dott.ssa Sara Drezza